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Gara di bravura e fascino tra le dive Charlize e Kim

di Boris Sollazzo

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30 Agosto 2008
Charlize Theron  EPA/CLAUDIO ONORATI

L'uomo che amava le donne. Guillermo Arriaga, già sceneggiatore di film come 21 grammi e Amores perros, quarto moschettiere del nuovo cinema messicano (gli altri tre sono l'ex sodale Inarritu, Cuaron e Del Toro), ha una penna raffinata e una sensibilità particolare nel raccontare e scandagliare l'animo femminile. Così accade nel film matriarcale, nel bene e nel male, The burning plain (in Italia a fine novembre), che mette in fila quattro femminilità simili e contrapposte, tre generazioni di una famiglia disastrosa e disastrata.
Kim Basinger, debole e commovente icona di una donna che sa combattere e vincere la morte, ma non l'amore. Charlize Theron, splendida e dolente, che la morte ce l'ha nel cuore. L'innocenza disarmante e pericolosa di Jennifer Lawrence, che interpreta un'adolescente. Infine la piccola Tessa Ia, sua figlia, vera madre bambina di tutte loro. «Cerco di portare la morte nella vita, e quindi al cinema – racconta Arriaga – in una società che ne reprime la sola idea». Quella dello sceneggiatore ora regista esordiente è una sorta di tragedia greca che ha tante vittime e nessun carnefice, una storia di affetti speciali e irrisolti, di come tante piccole debolezze possano costruire una montagna impossibile da scalare, fuori e dentro di noi.
Al centro Mariana (o Sylvia), una Theron monumentale a confronto con una sorprendente Basinger, ai suoi livelli migliori, che qui forse reincontrerà Mickey Rourke, al Lido con The wrestler di Aronofsky, e come lei star e vittima del mitico Nove settimane e mezzo. Entrambi schiacciati da una fama troppo grande e da un fisico ormai in decadenza (più lui che lei), entrambi in grande rinascita artistica. «Kim è straordinaria – racconta Charlize, qui anche produttrice esecutiva – avevamo una lunga lista di attrici bravissime, ma lei ha qualcosa in più, una forza maggiore rispetto al passato, ma con la stessa vulnerabilità di quando aveva 20 anni. E questo la rende potentissima».
Ha ragione l'attrice sudafricana, che in questa storia di passato, presente e futuro che si incrociano, decostruiscono e ricompongono in una lunga serie di flashback, ritrova un po' della sua drammatica infanzia (la madre uccise per legittima difesa il padre violento e alcolista). La sua sensualità algida e disperata come i suoi nudi e il suo personaggio cozzano con quella segnata dalla malattia, pudica e libera della Basinger. E Arriaga, per il suo esordio, deve ringraziare soprattutto questa strana coppia. Loro muovono e commuovono lo spettatore, non l'esercizio di stile e la narrazione su diversi piani temporali, spaziali, fatta di virtuosismi eccessivi. Il film è ben scritto, ma la performance da regista è pretenziosa e appena sufficiente. Anche se gli applausi di stampa e pubblico sembrano preludere a qualche premio. Magari una coppa Volpi al femminile?

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